la chiesa di Sant'Antonio Abate

Non ancora adeguatamente conosciuto, il ciclo di affreschi della chiesa di Sant'Antonio Abate presenta aspetti non chiari per quanto riguarda la cronologia delle diverse fasi di lavoro e l’individuazione dei collaboratori di Pellegrino. Gli affreschi sono suddivisibili dal punto di vista iconografico-tematico in temi principali: Profeti, Evangelisti e Dottori della Chiesa; Personaggi biblici; Storie cristologiche; Episodi della vita di sant'Antonio Abate e sant'Antonio da Padova; raffigurazioni di altri Santi. Il programma iconografico, che mette in risalto determinati soggetti e vicende impregnati di senso morale, sembra voler richiamare l’attività caritatevole della Confraternita di Sant'Antonio, committente dei dipinti. Gli affreschi della fase più antica, avviata nel 1497, sono distinguibili grazie ad una decorazione dell’artista sulla strombatura della finestra del presbiterio dove si legge "Pelegrinus pinxit/ 1498". La data viene confermata peraltro anche da un documento risalente all'ottobre dello stesso anno, in cui il vicario patriarcale sollecita la Confraternita di Sant'Antonio al saldo del pagamento dovuto al maestro. Questi primi affreschi, realizzati tra il 1498 e il 1503, non godettero di grande fortuna presso i critici: il Cavalcaselle li definì appartenenti ad un "pittore poco più che mediocre" per la composizione semplicistica e antiquata, ridondante di elementi architettonici (G.B. Cavalcaselle, "La pittura friulana del Rinascimento", Vicenza 1973). Si vedano ad esempio le scene, firmate, della "Lavanda dei piedi" e della "Discesa di Cristo al Limbo". Dopo un soggiorno a Ferrara, al servizio di Alfonso d’Este come pittore e scenografo di corte, nel 1513 Pellegrino stipula con la Confraternita un nuovo contratto per la continuazione dei lavori nella volta del presbiterio e nelle lunette: è così che ha inizio quella che viene convenzionalmente definita seconda fase, relativa ad un periodo che si conclude nel 1522. Dal punto di vista stilistico, gli affreschi della seconda fase sono caratterizzati da più accentuati contrasti chiaroscurali e contorni maggiormente definiti, che connotano le figure di una resa scultorea e nitida. Si vedano a tal proposito i corpi di Cristo e del cattivo ladrone nella "Crocifissione", caratterizzati da una originale perizia anatomica, o i definiti panneggi nel "Miracolo del fanciullo annegato". La metamorfosi stilistica e tecnica rispetto alla prima fase è dovuta ad una maggiore vicinanza di Pellegrino all'ambiente veneziano, come si nota dall'affinità iconografica tra il "San Giorgio" di San Daniele e il San Liberale di Giorgione nella "Pala di Castelfranco". Mentre alcuni studiosi, per primo il Cavalcaselle, giustificano le continue incoerenze di stile con un'esecuzione saltuaria eseguita in tempi diversi, recentemente è stato ipotizzato che la decorazione finale sia il risultato di un momento creativo unitario caratterizzato da un costante incremento del livello qualitativo della tecnica sostenuto dal disinvolto eclettismo di Pellegrino. Non ancora adeguatamente conosciuto, il ciclo di affreschi della chiesa di Sant'Antonio Abate presenta aspetti non chiari per quanto riguarda la cronologia delle diverse fasi di lavoro e l’individuazione dei collaboratori di Pellegrino. Gli affreschi sono suddivisibili dal punto di vista iconografico-tematico in temi principali: Profeti, Evangelisti e Dottori della Chiesa; Personaggi biblici; Storie cristologiche; Episodi della vita di sant'Antonio Abate e sant'Antonio da Padova; raffigurazioni di altri Santi. Il programma iconografico, che mette in risalto determinati soggetti e vicende impregnati di senso morale, sembra voler richiamare l’attività caritatevole della Confraternita di Sant'Antonio, committente dei dipinti. Gli affreschi della fase più antica, avviata nel 1497, sono distinguibili grazie ad una decorazione dell’artista sulla strombatura della finestra del presbiterio dove si legge "Pelegrinus pinxit/ 1498". La data viene confermata peraltro anche da un documento risalente all'ottobre dello stesso anno, in cui il vicario patriarcale sollecita la Confraternita di Sant'Antonio al saldo del pagamento dovuto al maestro. Questi primi affreschi, realizzati tra il 1498 e il 1503, non godettero di grande fortuna presso i critici: il Cavalcaselle li definì appartenenti ad un "pittore poco più che mediocre" per la composizione semplicistica e antiquata, ridondante di elementi architettonici (G.B. Cavalcaselle, "La pittura friulana del Rinascimento", Vicenza 1973). Si vedano ad esempio le scene, firmate, della "Lavanda dei piedi" e della "Discesa di Cristo al Limbo". Dopo un soggiorno a Ferrara, al servizio di Alfonso d’Este come pittore e scenografo di corte, nel 1513 Pellegrino stipula con la Confraternita un nuovo contratto per la continuazione dei lavori nella volta del presbiterio e nelle lunette: è così che ha inizio quella che viene convenzionalmente definita seconda fase, relativa ad un periodo che si conclude nel 1522. Dal punto di vista stilistico, gli affreschi della seconda fase sono caratterizzati da più accentuati contrasti chiaroscurali e contorni maggiormente definiti, che connotano le figure di una resa scultorea e nitida. Si vedano a tal proposito i corpi di Cristo e del cattivo ladrone nella "Crocifissione", caratterizzati da una originale perizia anatomica, o i definiti panneggi nel "Miracolo del fanciullo annegato". La metamorfosi stilistica e tecnica rispetto alla prima fase è dovuta ad una maggiore vicinanza di Pellegrino all'ambiente veneziano, come si nota dall'affinità iconografica tra il "San Giorgio" di San Daniele e il San Liberale di Giorgione nella "Pala di Castelfranco". Mentre alcuni studiosi, per primo il Cavalcaselle, giustificano le continue incoerenze di stile con un'esecuzione saltuaria eseguita in tempi diversi, recentemente è stato ipotizzato che la decorazione finale sia il risultato di un momento creativo unitario caratterizzato da un costante incremento del livello qualitativo della tecnica sostenuto dal disinvolto eclettismo di Pellegrino.